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16 Nov
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L’attuale disciplina delle spese di rappresentanza (in ambito Ires) è contenuta, nella sua formulazione generale, nell’articolo 108, comma 2, Tuir, mentre le disposizioni attuative sono disciplinate dal D.M. 19.11.2008.L’articolo 108, comma 2, Tuir, nel disciplinare la deducibilità delle spese di rappresentanza, prevede che esse “sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse. Le spese del periodo precedente sono commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari: a) all’1,5 per cento dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni; b) allo 0,6 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni; c) allo 0,4 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni.  Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50”.

Dal punto di vista della qualificazione delle spese di rappresentanza, l’articolo 108, comma 2, Tuir, rappresenta una norma in bianco, in quanto il legislatore fiscale ha semplicemente statuito i limiti entro cui possono essere dedotte le spese di rappresentanza, lasciando ad un provvedimento ministeriale (il decreto ministeriale già citato) l’individuazione dei criteri di qualificazione delle stesse.Il menzionato decreto, composto da un unico articolo suddiviso in sette commi, in merito alla deducibilità delle spese di rappresentanza dal reddito d’impresa, ha individuato:

  • specifici criteri di inerenza volti a qualificare le spese di rappresentanza;
  • criteri di congruità, attraverso la fissazione di un limite quantitativo di deducibilità, legato all’ammontare dei “ricavi” conseguiti dall’impresa;
  • alcune tipologie di spese da escludere dal novero delle spese di rappresentanza e, quindi, integralmente deducibili.

Il comma 1, del citato D.M. 19.11.2008, individua nella “gratuità” delle spese di rappresentanza il loro carattere essenziale e specifica i criteri in base ai quali le stesse possono considerarsi inerenti. In particolare, la disposizione attuativa declina il requisito dell’inerenza, richiedendo che:

  • le spese di rappresentanza siano sostenute con finalità promozionali o di pubbliche relazioni;
  • il loro sostenimento risponda comunque a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l’impresa, ovvero coerente con gli usi e le pratiche commerciali del settore in cui l’impresa si trova ad operare e competere.

In base a quanto sopra, una spesa di rappresentanza è tale ai fini della disciplina dell’articolo 108, comma 2, Tuir, se:

  • non è collegata ad una controprestazione (criterio della gratuità);
  • è sostenute per finalità promozionali o di pubbliche relazioni;
  • è ragionevole e coerente.

In merito al requisito della gratuità, la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 34/E/2009 ha chiarito che:

  • il carattere essenziale delle spese di rappresentanza è costituito dalla mancanza di un corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte dei destinatari dei beni e servizi erogati;
  • le spese di rappresentanza si distinguono dalla spese di pubblicità in ragione del fatto che la caratteristica delle spese di rappresentanza è rappresentata dalla “gratuità” dell’erogazione di un bene o un servizio nei confronti di clienti o potenziali clienti, mentre le spese di pubblicità sono caratterizzate dalla circostanza che il loro sostenimento è frutto di un contratto a prestazioni corrispettive, la cui causa va ricercata nell’obbligo della controparte di pubblicizzare/propagandare – a fronte della percezione di un corrispettivo – il marchio e/o il prodotto dell’impresa al fine di stimolarne la domanda.

In merito alla differenza tra le spese di rappresentanza e le spese di pubblicità si è espressa, di recente, la Corte di cassazione con la sentenza n. 26368/2023.La Suprema Corte, in particolare, afferma che le spese di rappresentanza si caratterizzano per la mancanza di sinallagma, il quale, invece, è riscontrabile nelle spese di sponsorizzazione, le quali costituiscono, di norma, spese di rappresentanza, deducibili nei limiti previsti dall’articolo 108, comma 2,Tuir, ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta “aspettativa di ritorno commerciale” (Cassazione n. 3433/2012, Cassazione n. 10914/2022 e Cassazione n. 5720/2016). Pertanto, laddove non vi sia alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in esser dallo sponsor, le relative spese non possono essere considerate di pubblicità, e come tali integralmente deducibili, ma devono ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti previsti dall’articolo 108 Tuir e dalle disposizioni secondarie attuative (Cassazione n. 5720/2016).






FONTE: Ecnews.it

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